Dare quote della società ai collaboratori con lo scopo per premiarli, motivarli e farli sentire parte integrante del progetto è un gesto nobile, spesso spinto dalle migliori intenzioni.
Negli ultimi anni ho visto molti imprenditori fare lo stesso errore, magari spinti dal desiderio di consolidare un rapporto di fiducia e stima reciproca.
Un modo per dire: “Tu sei importante per me. Ti riconosco un ruolo nella crescita di questa azienda”.
Ma la realtà è che nelle PMI italiane – soprattutto nelle SRL – questa scelta è pericolosa, controproducente, e spesso irrimediabile.
Perché? Perché una quota societaria non è un premio: è un diritto legale, è potere, è accesso, è rigidità. E mentre tu pensi di regalare qualcosa che “valorizza”, nella pratica stai consegnando un’arma che può ritorcersi contro di te.
In questo articolo voglio spiegarti in modo semplice e diretto perché non devi dare quote della società ai collaboratori, quali problemi potresti incontrare e – soprattutto – quali alternative più intelligenti puoi utilizzare per premiare davvero chi lavora con te.
Dare quote della società ai collaboratori non crea coinvolgimento, crea complicazioni
Quando decidi di dare quote della società ai collaboratori, la tua intenzione è chiara: fidelizzare, motivare, riconoscere un valore. Purtroppo però, le quote di minoranza in una SRL non generano nessuno di questi effetti. Anzi, il più delle volte generano il contrario: incomprensioni, rigidità, conflitti latenti.
Il primo errore è confondere il coinvolgimento lavorativo con il coinvolgimento societario. Un collaboratore può essere coinvolto, motivato e leale… senza dover diventare socio. Essere soci comporta tutt’altre logiche: vincoli giuridici, diritti di controllo, obblighi fiscali.
Spesso chi riceve una quota non ne capisce il significato reale. Pensa che diventerà ricco, che riceverà utili, che conterà qualcosa in azienda. La verità? In molte PMI gli utili non vengono distribuiti, e un socio di minoranza non ha voce in capitolo.
Risultato? Il collaboratore si sente deluso. Tu ti senti frainteso. Il rapporto si deteriora.
Peggio ancora: la presenza di un socio in più rende tutto più complicato, anche a livello operativo. Serve più trasparenza, più comunicazione, più burocrazia.
E tutto questo per cosa? Per un gesto che poteva essere sostituito con un bonus o un riconoscimento fiscale ben strutturato.
Dare quote della società ai collaboratori ti espone a rischi legali e gestionali
Dare quote della società ai collaboratori significa trasformare un rapporto di lavoro in un rapporto societario. E attenzione: anche con una quota minima, il collaboratore diventa socio a tutti gli effetti.
Questo vuol dire che:
- Può accedere ai documenti aziendali
- Può chiedere spiegazioni sulle spese, sui movimenti, sulle decisioni
- Può contestare qualsiasi scelta gestionale che non gradisce
Magari oggi siete amici. Ma domani? Se il rapporto cambia, se il collaboratore se ne va, se le cose si incrinano… avrai un problema in casa.
Il socio può:
- Bloccarti le trattative
- Chiedere di essere liquidato
- Minacciare cause legali o ostacolare decisioni chiave
E anche se la sua quota è piccola, il danno può essere grande. Perché ogni socio, anche di minoranza, ha diritto a essere informato. E può usare quell’informazione per metterti in difficoltà.
Lo so, sembra assurdo. Ma accade molto più spesso di quanto immagini.
E se non hai inserito patti parasociali chiari, clausole di esclusione o meccanismi di protezione, non hai difese.
Hai regalato una quota. Ma in cambio hai ricevuto un vincolo, un rischio, una potenziale bomba a orologeria.
Le quote non hanno valore reale per chi le riceve
C’è un altro aspetto che molti imprenditori sottovalutano: il collaboratore che riceve una quota spesso non ne capisce né il valore né il funzionamento.
E come potrebbe?
Una quota di minoranza:
- Non dà potere
- Non genera utili, se l’azienda non li distribuisce
- Non può essere venduta, perché non esiste un mercato per le quote di una SRL
In pratica, il collaboratore si ritrova con un “titolo” che:
- Non può monetizzare
- Non può usare per decidere nulla
- Non gli cambia la vita di un centimetro
Dopo un primo momento di entusiasmo, arriva il vuoto. La quota resta lì, ferma, senza produrre vantaggi reali. E il collaboratore comincia a pensare: “Era solo una mossa per tenermi buono”.
Da quel momento, il gesto perde valore. E il rischio è che si trasformi in un motivo di frustrazione o di rivendicazione futura.
Nel frattempo, tu hai un socio in più, senza nessun beneficio reale.
Non era meglio trovare un modo per coinvolgerlo davvero, senza complicazioni?
Dare quote ai collaboratori può costarti molto più di quanto pensi
Pensa a cosa succede se, un giorno, il collaboratore se ne va.
Può succedere di tutto:
- Chiede la liquidazione della sua quota (spesso ha diritto di farlo)
- Pretende un valore di mercato, non proporzionato all’apporto che ha dato
- Ti mette pressione per entrare in decisioni aziendali che non gli competono più
E tu? Sei vincolato!
In più, ogni volta che vorrai:
- Cambiare soci
- Fare una cessione
- Introdurre un investitore
…dovrai coinvolgere anche quel collaboratore che ora è socio. Anche se non lavora più con te. Anche se non ha mai fatto nulla per far crescere l’azienda dopo aver ricevuto la quota.
Hai capito il paradosso?
Hai dato tanto per gratitudine, e ora sei tu a dover chiedere il permesso.
Ecco perché dare quote della società ai collaboratori può costarti più di quanto immagini. E non solo in soldi. In libertà, in controllo, in serenità.
Premiare i collaboratori: l’alternativa intelligente
La buona notizia? Esiste una soluzione che ti permette di:
Premiare
Coinvolgere
Remunerare
…senza dover dare quote della società ai collaboratori.
Si chiama associazione in partecipazione. Un contratto semplice, perfettamente legale, fiscalmente efficiente, che ti consente di:
- Riconoscere una percentuale sugli utili
- Far partecipare il collaboratore ai risultati
- Tutelare il tuo ruolo e il tuo controllo
Il collaboratore non diventa socio, non ha accesso ai documenti, non può bloccare nulla. Ma riceve un incentivo concreto, misurabile, trasparente.
E tu puoi:
- Modificare l’accordo nel tempo
- Revocarlo se cambiano le condizioni iniziali
- Gestirlo con flessibilità, senza appesantire la governance
È il modo più intelligente per fidelizzare chi merita senza farti male da solo.
Perché alla fine, il messaggio giusto non è: “Ti faccio entrare in società” ma: “Ti riconosco ciò che meriti, e lo faccio nel modo più efficace per entrambi.”
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Grazie Massimo sempre utili le tue guide.
Aprono spunti di riflessione
Grazie Daniele!