Negli ultimi anni la parola holding è diventata una specie di mantra per tanti imprenditori italiani.
C’è chi la sente nominare dal consulente, chi ne legge qualcosa su un gruppo Facebook di imprenditori, e chi la collega subito a parole come “ottimizzazione fiscale”, “tassazione all’1,2%” o “protezione del patrimonio”.
Ti dico come la penso.
La holding non è una formula magica, ma nemmeno una bufala. È uno strumento – niente di più, niente di meno.
E come tutti gli strumenti, può fare miracoli oppure creare disastri. Dipende da come la usi.
In questo articolo vediamo:
perché la holding è diventata così popolare,
quali sono i falsi miti che girano su questo tema,
e quali sono invece i contesti concreti in cui davvero vale la pena crearla.
Quindi prima capiamo la questione e poi vediamo la soluzione.
Perché molti imprenditori si innamorano della holding
La promessa è chiara: con una holding puoi pagare meno tasse, proteggere i tuoi beni, pianificare il futuro della tua azienda e – magari – tenere tutto al sicuro da possibili intoppi fiscali o familiari.
Vediamolo con un esempio pratico.
Un imprenditore crea una holding sopra la sua società operativa.
La holding detiene le quote, gestisce la liquidità, pianifica eventuali vendite.
Tutto sembra più ordinato, più protetto.
E in effetti i benefici reali esistono:
✱ Gestione centralizzata di più aziende operative
✱ Maggiore flessibilità strategica per investimenti e riorganizzazioni
✱ Possibilità di usufruire del regime PEX in caso di cessione (ne parliamo più avanti)
✱ Strumento utile per il passaggio generazionale
Sì, insomma: detta così, sembra un sogno.
Ma attenzione: proprio perché è diventata “di moda”, la holding viene spesso proposta o adottata senza una strategia vera.
Ed è lì che iniziano i problemi.
Il miraggio dell’1,2%: la verità sulla tassazione della holding
Uno degli slogan più ripetuti è: “Con la holding paghi solo l’1,2% di tasse”.
Suona bene.
Anzi, benissimo.
Quindi scaviamo un po’ più a fondo….
Quell’1,2% si riferisce al regime PEX: un’agevolazione che prevede l’esenzione del 95% della plusvalenza in caso di vendita di partecipazioni qualificate.
In pratica, se la tua società operativa viene venduta e realizzi una plusvalenza, la holding paga le imposte solo sul 5% di quella plusvalenza.
Questo perché si applica l’aliquota IRES del 24% sul 5% e si arriva (appunto) a quell’1,2% effettivo.
Fantastico, vero? Sì, ma solo sulla carta.
Perché poi arriva la domanda cruciale: “E se voglio usare quei soldi a livello personale?”
Qui molti sbagliano.
Per passare quei soldi dalla holding a te personalmente, serve un dividendo.
E il dividendo si tassa al 26%.
Risultato finale? Paghi sia l’1,2% all’interno della holding, sia il 26% per usare quei soldi… altro che miracolo fiscale!!!
Prelevare soldi dalla holding: facciamo chiarezza
C’è chi pensa che avere una holding significhi potersi “servire” a piacimento.
Ma non è così.
Il denaro della holding è della società
Mica è dell’imprenditore.
E prelevarlo senza passare dai canali ufficiali (dividendi, compensi) è una scorciatoia che porta dritti a problemi con il fisco.
Ecco cosa succede se ignori questo aspetto:
✱ Rischi contestazioni per utilizzo indebito di fondi aziendali
✱ Ti esponi a controlli e sanzioni, anche pesanti
✱ Dai l’impressione di confondere il tuo patrimonio con quello dell’azienda
In pratica, non puoi usare la holding come un bancomat.
Vuoi comprarti un’auto di lusso, una casa al mare o pagare la scuola dei figli? Serve un dividendo e questo significa pagare il 26%.
Meglio pensarci prima che correre ai ripari.
I contributi INPS e la trappola delle partecipazioni indirette
Altro mito da sfatare: “Con la holding non pago più i contributi INPS.”
Un imprenditore crea una holding, poi si dice: “Così non risulto più socio direttamente nella Srl operativa, quindi addio INPS.”
Peccato che non funzioni così.
E succede anche ai migliori.
La legge considera anche le partecipazioni indirette: se la tua holding detiene il 51% della società operativa e tu controlli la holding, sei comunque un socio lavoratore.
E se lavori in azienda, scatta l’obbligo contributivo.
In altre parole, la holding non ti “nasconde” agli occhi dell’INPS.
Anzi, può complicare ulteriormente le cose, se non è gestita con attenzione.
Capita quando hai la testa dentro l’azienda e zero tempo per il resto.
Ed è lì che serve una consulenza vera, non un modulo prestampato.
Quando conviene davvero avere una holding
Ora che hai le idee più chiare, vediamo in quali casi la holding può essere davvero utile:
Quando hai più società operative e vuoi gestirle in modo centralizzato
Quando vuoi vendere una società con plusvalenza, usufruendo del regime PEX
Quando pianifichi un passaggio generazionale ordinato
Quando vuoi separare attività operativa e patrimonio
Quando serve una struttura solida per future operazioni straordinarie
Il regime PEX (Partecipation Exemption) permette di non tassare il 95% della plusvalenza sulla cessione di partecipazioni qualificate. Ma – ancora una volta – non elimina la tassa sul dividendo.
Non serve essere un esperto, ma serve metodo.
Una holding senza una strategia è solo una scatola vuota.
Con un piano chiaro, invece, può diventare un alleato potente.
Conclusione
La holding non è un tabù, ma nemmeno una scorciatoia.
Se hai sentito parlare di holding come la soluzione a tutti i problemi fiscali, hai solo una parte della storia.
Il vero potenziale si sblocca solo quando capisci bene cosa fa (e cosa non fa).
Ora la palla passa a te.
Se stai pensando di creare una struttura di questo tipo, parti dal tuo obiettivo, non dalla moda del momento.
E scegli un consulente che ti accompagni, passo dopo passo.
Se ti serve aiuto per la tua azienda puoi contattarmi tramite questo ⋙ modulo di contatto ⋘.
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